I Nostri Figli e il Bullismo | Podcast puntata 04
Podcast dedicato al fenomeno del bullismo dal Format lo psicologo dei bambini puntata 4; in questo articolo trovate una trascrizione della puntata del podcast.
I Nostri Figli e il Bullismo
Benvenuti sul podcast “Lo psicologo dei bambini”, a cura del dottor Davide Nahum.
Tuo figlio: istruzioni per l’uso. Una produzione Seoattivo.it
Buongiorno; partirei subito con la prima domanda relativamente al fenomeno del bullismo: cosa fare quando nostro figlio viene “bullizzato”?
-La prima cosa da fare è capire cosa si intende con il termine bullizzato, perché la parola bullismo/bullizzato e via dicendo è una parola che è sulla bocca di tutti, è un termine che è anche di moda in alcuni periodi, ma indica un aspetto ben specifico; dobbiamo stare attenti: un conto è essere bullizzati, un conto è litigare con un compagno a scuola o essere preso in giro. Si parla di bullismo quando c’è un fenomeno di gruppo dietro, non quando ci sono due bambini che litigano l’uno con l’altro. Quindi, la prima cosa da capire è se gli episodi che ci racconta nostro figlio riguardano una situazione di gruppo, una situazione ripetuta nel tempo. Si può litigare con un bambino una volta e non è assolutamente bullismo; se invece vengono reiterati continuamente certi comportamenti in un contesto di gruppo, allora lì stiamo parlando di bullismo.
Quindi bullismo è quando il gruppo se la prende “in maniera sistematica” con una persona.
Esattamente. Poi può essere anche un gruppo più piccolo, possono essere anche una coppia o tre persone, ma la cosa importante è che nell’atto di bullismo non ci sono soltanto la vittima e il carnefice, ma c’è un pubblico, c’è una serie di ruoli.
Cosa può fare un genitore quando scopre che il proprio figlio è stato bullizzato?
La prima cosa, come vedete, è capire se si tratta di bullismo. Se si tratta di bullismo, allora là bisogna correre a scuola e parlare con la maestra e con un dirigente scolastico. Bisogna prendere la situazione in pugno, perché non bisogna lasciar correre quello che succede: il bullismo è una situazione grave, una situazione che necessita di un intervento di tutto il sistema. Non va bene mandare il proprio figlio dallo psicologo se è la vittima, ma neanche se è il bullo. Bisogna intervenire sul contesto, il contesto della classe, della scuola o dove avvengono questi episodi.
Quindi andare a scuola e parlare chiaramente con le maestre, con la dirigenza, con la consapevolezza che è un tema molto delicato per le scuole e per i dirigenti, perché in alcuni periodi sono fioccati di luce a destra e sinistra per il bullismo e quindi, a volte, le scuole sono un po’ reticenti quando si parla di bullismo. Se però nostro figlio è bullizzato dobbiamo fregarcene, andare là in un modo non aggressivo ovviamente, in modo assertivo, ma bisogna chiamare le cose con il loro nome. Se si tratta di bullismo, bisogna attivare delle misure contro il bullismo.
Benissimo; e invece nei confronti di nostro figlio? Cosa possiamo fare?
-Nei confronti di nostro figlio possiamo accoglierlo, possiamo parlare con lui e farci raccontare da lui quello che è successo ma non solo dal punto di vista dei comportamenti e delle azioni, ma soprattutto dal punto di vista delle emozioni, di quello che lui ha provato, di come si è sentito, di quello che è successo nel suo mondo interno. Noi non dobbiamo fare i giudici o gli investigatori capendo quello che sarebbe successo, prima A o prima B; quello ci serve, ma ci serve soprattutto a cogliere emotivamente nostro figlio e quindi chiedere come si è sentito, come s’è fatto e condividere, empatizzare. A volte soltanto mettersi là e ascoltare, senza parlare, quello che ci dice nostro figlio che viene bullizzato o che soffre, è la cosa migliore che si può fare.
Ma dalle sue esperienze, scusi è una domanda che mi è venuta estemporanea, è facile riconoscere un figlio bullizzato oppure no?
No, non è facile. Non è facile perché il bullismo, essendo appunto un fenomeno di gruppo, tante volte si accompagna con delle emozioni di vergogna, quindi il bambino si vergogna di quello che succede. Per i bambini, ma specialmente per i ragazzini delle medie, il fatto di essere integrati, di avere amici, di essere fighi socialmente è molto importante. Quindi, l’idea di essere bullizzati, di essere ostracizzati, di essere presi in giro è difficile. Dobbiamo stare attenti ai segnali che ci dà nostro figlio, come ad esempio il fatto che sia più triste del solito, che eviti le situazioni sociali: la pizzata di Natale o di fine anno, le uscite, i compleanni… tutte quelle occasioni dove non è obbligato ad andare a scuola, quelli sono tutti segnali che ci possono far alzare delle antenne. L’altro segnale molto importante è parlare con il professore, andare ai colloqui con i professori alle medie o dalla maestra delle elementari e chiedere molto direttamente: “com’è il rapporto di mio figlio con i compagni?”. Ogni volta che andiamo a fare i colloqui con le maestre siamo sempre lì a presi a chiedere “come va a scuola?”, “ha imparato le tabelline?”, “sa la storia dei romani e dei greci?” e via dicendo, ma la vita sociale, interpersonale è almeno altrettanto importante di come sa gli altri elementi indicati.
Certo; e quindi mi sembra di capire che da un lato sia difficile riconoscere se è bullismo o non è bullismo, dall’altro lato anche se fosse bullismo è difficile capire se il proprio figlio è stato bullizzato. Quindi c’è un insieme di questioni molto, molto amplia che probabilmente meriterebbe un discorso molto più approfondito ma naturalmente abbiamo dato delle indicazioni che comunque possono essere valide credo.
-Assolutamente sì, come dicevo, per quello noi sempre cerchiamo di portare avanti un rapporto positivo tra scuola e casa, perché nei casi di bullismo in particolare ci sono una serie di segnali che dovrebbero essere messi assieme: un po’ quello che succede a casa come abbiamo detto, un po’ ai colloqui con i professori, assieme si possono trovare i segni che ci sia una situazione di bullismo. A meno che poi non se la vivi, come i casi di cronaca o con i bambini con le costole rotte o con le teste nei water dei bagni, ma allora lì siamo in una situazione che è già andata avanti per tanto tempo. Il nostro obiettivo è quello di capirlo prima, prima che diventi così estrema, e per farlo purtroppo non c’è un’indicazione univoca, bisogna mettere assieme dei pezzi del puzzle, bisogna unire i punti.
Secondo una sua opinione, è giusto preparare nostro figlio a questo fenomeno? Che ne so, alle elementari, alle medie, spiegandogli che può essere oggetto di attenzioni bullistiche?
Questo fa parte del crescere i propri figli. Non dobbiamo soltanto aiutarli a imparare le regole dell’educazione o a capire le cose che studia a scuola, dobbiamo anche aiutare a sviluppare il suo senso morale. E questo ci sono alcune fasi che gli psicologi hanno trovato nello sviluppo morale dei bambini. Noi quello che dobbiamo fare è insegnare ai bambini ad essere morali, questo è un compito che i genitori da sempre hanno: insegnare ai bambini quello che per noi è concetto di cos’è buono, cos’è negativo, cos’è cattivo, che cosa non va bene, è compito specifico di un genitore! Se un genitore non insegna al proprio figlio cos’è buono, cos’è cattivo, non sta facendo il genitore nel modo più completo possibile, ma sta facendo il babysitter o l’insegnante. Noi dobbiamo spiegare ai bambini che cos’è buono secondo noi veramente, e come dicevo il bambino passa delle fasi di sviluppo morale: all’inizio il bambino è concentrato su sé stesso, piano piano poi si allarga agli altri e via dicendo. Quello che noi dobbiamo fare con i nostri figli è dire, insegnare ai bambini che ci sono delle altre persone, delle altre persone che hanno dei sentimenti e che quindi è molto importante che loro sviluppino l’empatia, cioè la capacità di provare quello che prova l’altra persona.
E questo sembra un discorso molto chiaro e sensato, ma nello specifico del bullismo, la mia domanda era: un genitore ne deve parlare, per esempio, al bambino delle elementari? Dicendo “guarda, potrebbe succederti che un gruppo di tuoi amici o alle medie o che ne so al liceo…e se succede questo puoi venire da noi o vieni da noi o vai dagli insegnanti”, cioè questo tipo di “preparazione” giusto fanno o è sbagliato o indifferente? Non lo so…
È dall’asilo che si vedono questi comportamenti, è chiaro che il discorso che si può fare al bambino dell’asilo è diverso da quello che si può fare al ragazzino delle medie, ma anche soltanto dire al bambino dell’asilo, al proprio figlio, quando viene e dicono che “Niccolò viene preso in giro da tutti quanti”, soltanto dire: “ma se tu fossi Niccolò, come ti sentiresti se gli altri ti prendessero in giro?”. Questo aiuterà al bambino a sviluppare quell’empatia e quel senso di normalità di cui abbiamo parlato.
Certo. Perfetto, passiamo ad una domanda successiva. Fondamentalmente, il pensiero un po’ di tutti è sempre per chi subisce il fatto di bullismo, ma cosa possiamo dire invece di chi assiste al fenomeno del bullismo? Cioè, gli spettatori?
-Come dicevamo il bullismo è complesso perché riguarda una dinamica di gruppo. Ci sono gli spettatori, ci sono gli aiutanti, ci sono quelli che ridono, quelli che stanno zitti, ci sono tanti ruoli e il discorso da fare è sempre quello: uno spettatore è colui che non prende una posizione, colui che non aiuta quando trova, quando c’è una situazione di difficoltà, e anche lì sta a noi: ma qual è il nostro senso di moralità? Se consideriamo ad esempio tutto, la nostra società occidentale è basata sul concetto di “non lavarsi le mani”, come Ponzio Pilato, o del fatto di aiutare i più deboli, come Abramo. Ci sono tante cose, tanti insegnamenti che la nostra società dà nel non farlo. Sta a qual è la persona, al genitore, insegnare. Indubbiamente, lo spettatore è un elemento che contribuisce a creare, a mantenere il bullismo. Il problema è che tante volte gli sforzi dei genitori o degli insegnanti o della scuola si concentrano o sul bullo o sulla vittima, non lasciando invece il terreno su cui questo si crea. Perché gli spettatori, chi ride quando viene preso in giro Tommaso o Francesco, sono quelli che danno poi la forza al bullo e la motivazione al bullo di continuare. È importante parlare con lui e fare la stessa operazione che abbiamo detto prima, dire: “ma tu, se fossi tu quello là che viene preso in giro e vedi Daniele che ride e sghignazza, come ti sentiresti?”.
Sì, questa visione che effettivamente non è da tutti pensare, è effettivamente molto interessante perché lo spettatore, diciamo, aumenta il fenomeno a seconda di come reagisce o lo può diminuire, intervenendo, ridendo, partecipando. Certo è che comunque intervenire in certi casi può essere rischioso per nostro figlio, quindi dovremmo “educare” nostro figlio secondo quanto sto capendo dalle sue risposte a prendersi delle responsabilità, a prendersi dei rischi.
-Questo è un discorso che sta al singolo genitore. Da un punto di vista psicologico, è importante rendere il bambino consapevole di quello che sta facendo, cioè che se sta soltanto sghignazzando, non sta soltanto sghignazzando: sta partecipando a un atto di bullismo! In maniera inferiore, uguale, superiore agli altri?
Questo non possiamo dirlo, non ci interessa saperlo, però ha partecipato. Se poi dopo chiedi a me come genitore, non come psicologo, qual è il valore che io voglio insegnare ai miei figli, ti dico che per me è molto importante che i miei figli si assumano la responsabilità di fare del bene, con le conseguenze del caso. Se mio figlio dovesse tornare a casa perché si è preso un pugno perché uno stava bullizzando, prendendo in giro un altro e lui si è messo in mezzo, beh… sarei molto orgoglioso di lui.
Quindi, in una risposta molto precisa, sia dal punto di vista del dottor Nahum, sia una risposta molto precisa dal punto di vista del padre Nahum. Un altro aspetto di questo insieme è se capita che nostro figlio sia il bullo e un bel giorno qualcuno viene a casa e ci racconta che Giacomino picchiava, insieme ai suoi compagni, tutti quelli più piccoli/tutti quelli più grandi. Cosa deve fare un genitore in una situazione del genere?
-Anche lì il primo passo è non andare nel panico: come abbiamo detto, il bullismo è un fenomeno di gruppo e nel gruppo ci sono delle forti pressioni. Se veniamo a sapere dalla maestra, da qualcuno, che nostro figlio ha avuto il ruolo del bullo, allora dobbiamo fare quello che abbiamo detto: non pensare che lui sia cattivo o che abbiamo sbagliato noi come genitori a far qualcosa o via dicendo. Possiamo prima di tutto pensare che è entrato in una dinamica di gruppo dove è entrato nel ruolo del bullo. A quel punto là, dobbiamo prenderlo da parte e fargli lo stesso discorso che facciamo se è uno spettatore, cioè aiutarlo a mettersi nell’ottica di quello che ha provato la sua vittima e soprattutto aiutarlo a capire che la sua modalità di comportamento è una modalità che fa soffrire gli altri.
Quindi, anche in questo caso, lavorare sull’empatia di nostro figlio.
-Eh sì, perché alla fine il bullismo nasce da quello: dalla mancanza di empatia in un contesto di gruppo. Non vuol dire che il bullo è una brutta persona o un bambino cattivo che manifesta la sua cattiveria strappando le ali alle farfalle e picchiando i bambini all’intervallo, ma essere proprio il fenomeno del gruppo. Noi dobbiamo insegnare ai nostri figli a contrastare l’influenza del gruppo. Questo è un grave insegnamento da dare all’essere umano, perché noi siamo i gruppi, siamo influenzati dai gruppi, ma dobbiamo imparare a essere consapevoli di questa influenza e non farci sopraffare.
Ma una domanda da genitore comune come sono io: non esiste bullismo se non esiste gruppo? Una persona singola non può fare il bullo su un’altra persona?
-Può picchiare un’altra persona, può prenderla in giro, ma si parla di bullismo quando c’è un gruppo.
Ah invece quando lo fa una persona singola non è più bullismo…
-No, è un’aggressione. È uno che picchia un altro bambino.
Però se intorno si forma un gruppo che sghignazza…
-A quel punto lì allora se viene ripetuta la questione, stiamo parlando di bullismo.
Quindi in questo caso, per esempio, se un genitore scoprisse che il proprio figlio alle medie è un bullo, fa parte del gruppo dei bulli, torna a casa e io lo scopro e gli do due schiaffoni, sarebbe un’azione non consigliata dal punto di vista della psicologia?
-Gli schiaffoni devono fare un altro tipo forza di punizioni sui bambini, ma quello che dico è che aiutare i bambini a sviluppare il loro senso morale attraverso l’empatia non è in contrasto con il punire: uno può punire il proprio figlio e poi può aiutarlo a riflettere sull’aspetto morale della faccenda.
Certo. A questo punto mi sembra che il grande di questo discorso l’abbiamo affrontato, sperando che le nostre parole siano utili a genitori che si possano trovare, o solamente vogliono informarsi di più rispetto al bullismo, ma altri due aspetti che sono rimasti fuori sono: cosa dobbiamo chiedere agli insegnanti rispetto a fenomeni di bullismo? Cioè, quando accadono questi fenomeni di bullismo, esattamente cosa dobbiamo chiedere al corpo insegnanti?
-Dobbiamo chiedere di intervenire col gruppo classe. Dobbiamo chiedergli di intervenire, un intervento specifico, un intervento di uno psicologo preparato e specializzato sul bullismo, che faccia un lavoro con il gruppo classe. Con tutti. Non soltanto con la vittima o il carnefice. E stessa cosa con il dirigente scolastico.
Quindi il nostro podcast sul bullismo è terminato. Se vuoi come al solito concludere tu il podcast concludendo il discorso nella maniera che preferisci, io ti lascio la parola e ti ringrazio.
-Guarda Davide volevo dire un’ultima questione legata al bullismo che non abbiamo affrontato, che è il bullismo sui social network. Il bullismo sui vari computer e via dicendo, che è un altro argomento che è molto difficile da affrontare, è molto difficile da entrare, ma che può avvenire anche in quell’ambito, anche su Facebook, su Instagram, sulle varie piattaforme. Quello è un aspetto che ha creato in passato molte difficoltà e molte problematicità sui gruppi di WhatsApp o quant’altro, e anche là il suggerimento che voglio dare alle persone è quello di aiutare i bambini, ai ragazzi più che altro, a capire la grossa differenza che c’è tra un’interazione via social network o via WhatsApp e un’interazione dal vivo. Tante volte i ragazzi, specialmente quelli che adesso, con un termine obbrobrioso, vengono chiamati “i digitali”, cioè quelli che sono nati e avevano già il cellulare fondamentalmente, e credono/pensano che un’interazione via WhatsApp o via Facebook sia come un’interazione dal vivo. Non è così. Non è così non per motivi etici o quant’altro, ma per un motivo molto particolare, molto specifico: un’interazione via WhatsApp, via Facebook, manca di una componente fondamentale della comunicazione umana, cioè la comunicazione non verbale. Sì, ci sono gli smile, le cose e via dicendo, ma in realtà hanno una grossa differenza con un sorriso della comunicazione vera e propria; è che se io metto lo smile o il sorriso su WhatsApp lo metto perché lo voglio mettere, non c’è tutta la comunicazione non verbale involontaria. Questa comunicazione è quella che dà tutte le informazioni relazionali, perché dico questo? Perché bisogna insegnare ai propri figli che sono diverse dalla comunicazione. Perché se io dico al mio amico Fabrizio “sei un ciccione” per scherzare, e io vedo da un punto di vista non verbale che lui fa una faccia un po’ triste, allora c’è un feedback e allora posso pensare dentro di me “cavolo, forse gli ho detto… è stato male… magari la prossima volta non glielo dico”. Se io scrivo su WhatsApp “sei un ciccione” non so che reazione ha, e quindi non ho un feedback, e quindi non ho questo cambiamento di come io comunico a seconda di quello che l’altro prova e questo è un punto fondamentale da insegnare ai bambini quando iniziano ad usare questi mezzi.
Grazie ancora Davide, salutiamo i nostri ascoltatori e gli diamo appuntamento per il quinto episodio del nostro podcast
-Grazie a tutti.